venerdì 16 novembre 2012
Why always Mario? "Time" parla di Balotelli (e dell'Italia)
Il numero di "Time" del 12 novembre scorso è uscito nelle edicole con una copertina dedicata a Mario Balotelli.
Un'intervista al "SuperMario" nazionale è il pretesto, da parte del magazine, di parlare dell'Italia e del suo rapporto con il razzismo e l'integrazione.
Il quadro che ne esce non è, onestamente, esaltante, nè per Balotelli, né per il Belpaese.
Anzitutto, il magazine è rivolto, nonostante sia ampiamente divulgato in Europa e in tutto il resto del mondo, ad un pubblico statunitense. Infatti, in molte parti dell'articolo Catherine Mayer, la giornalista autrice del pezzo, si deve soffermare in spiegazioni tecniche di ambiti del "soccer" sconosciuti alla maggior parte degli americani stars&stripes, non avvezzi a questo sport.
L'articolo parla della carriera di Balotelli, fuori e dentro il campo, con un excursus sulle sue "avventure" extra calcistiche, gli amori, le turbolenze, dai primi anni di vita fino all'inizio della sua carriera all'Inter, per arrivare all'attualità, agli ultimi due anni passati al Manchester City dello sceicco e dei milioni facili.
L'aspetto tuttavia interessante è come la giornalista prenda spunto dall'esordio di Mario con la maglia della Nazionale italiana, nel 2008, per mettere in luce il rapporto tra l'Italia e i suoi cittadini "di colore".
In poche righe, piantate nel bel mezzo dell'articolo, si dice che fin dai suoi esordi in maglia azzurra Balotelli è stato accompagnato da cori razzisti, del tipo "There's no such thing as black Italian", passando per la (effettivamente imbarazzante) vignetta pubblicata dalla "Gazzetta dello Sport" nel corso degli ultimi europei, dove Mario era rappresentato come un King Kong aggrappato al Big Ben, e arrivando a "Tuttosport" che, dopo la vittoria contro la Germania nella stessa competizione con la doppietta del bresciano, titolava emblematicamente "Li abbiamo fatti neri".
Mario, divenuto italiano a tutti gli effetti solo con la maggiore età (perchè la sua "vera" famiglia, di origini ghanesi, si è sempre opposta all'adozione) ha sostenuto, in alcune interviste, di aver scelto di lasciare l'Italia perché era diventato "un Paese razzista". Effettivamente, contro di lui si è scatenata l'ignoranza di parecchie tifoserie, che hanno scelto, per punire i suoi atteggiamenti molte volte indisponenti, di insultarlo per il colore della sua pelle. Mentre, come ammette lui stesso sulle pagine di Time, "in Inghilterra tutti sono uguali". Frase ad effetto, perchè effettivamente, purtroppo, anche da queste parti il fenomeno del razzismo esiste, è latente e sempre pronto ad esplodere (JT insegna, per esempio...)
Una verità, però, c'è; qui, se ti impegni e, come fa lui, aiuti il tuo Club a vincere trofei, molte cose ti vengono perdonate, nonostante le pagine dei tabloid siano sempre piene, appena possibile, delle sue bravate.
La maglietta che ha mostrato dopo un gol allo United, "Why always me?" è diventata una canzone, che ha cantato assieme al rapper di origini, guarda caso, ghanesi Tinchy Strider, e poco dopo uno dei best-seller nello shop del City, perché la Umbro ha deciso di produrla in serie.
Nonostante il suo rapporto con Mancini, di amore/odio, Mario continua nei suoi alti e bassi anche in Inghilterra, alternando partite strepitose ad espulsioni stupide, per far sempre parlare i tabloid con comportamenti fuori dal campo "stravaganti".
"Se non giocasse per noi, lo odieremmo, per le stesse ragioni per cui lo amiamo", ammette candidamente Ed Owen, tifoso del City da sempre e parte dell'articolo come "voce narrante" della storia del Club; "ma gioca con noi. Per questo lo amiamo".
La chiosa del pezzo è rivolta al futuro di Mario nel City, perché ultimamente Mancini ha dichiarato di essere quasi arrivato al limite della sopportazione degli atteggiamenti dell'attaccante.
Una cosa è certa: vista da fuori, l'Italia non appare quasi mai il Belpaese che immaginiamo noi. Tolto il campo culinario e delle bellezze architettoniche, nel quale ancora eccelliamo, siamo visti come un Paese marginale, in evoluzione e in transizione, con una politica da barzelletta e presi ad esempio quasi sempre per eventi negativi.
Cosa serva per modificare questa visione, non lo so. Probabilmente, però, iniziare a presentare meglio il nostro Paese all'Estero, mettendo noi in evidenza i nostri punti di forza, potrebbe essere un buon punto di partenza.
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