lunedì 12 novembre 2012

Scotland-New Zealand


Alla fine han vinto ancora loro, gli uomini in nero. Gli All Blacks. 
29 incontri tra le due squadre, 27 vittorie e due pareggi per i neozelandesi.
Ma non si può dire, nonostante il risultato, che la Scozia abbia perso.
Anzitutto, perchè ha affrontato i campioni del mondo in carica, imbattuti da 17 gare, dovendo fare a meno di sette titolari e recuperando Gray e Laidlaw solo nella settimana precedente il match. 
Poi, perchè la Scozia ha tenuto testa alla Nuova Zelanda, accusando un unico, inatteso black-out alla mezz’ora del primo tempo che ha condizionato la gara. Perchè fino a quel momento, la gara era in equilibrio, la Scozia aveva marcato una meta con Tim Visser, l’ala olandese naturalizzata in giugno e che ha debuttato oggi sul suolo patrio, nello stadio della sua squadra di club, con la maglia del cardo. Uno stadio, il Murrayfield, sold out in autunno per la prima volta nella storia dei test match. 67144 spettatori. Spettacolo nello spettacolo.
Prima della gara, celebrato il “Remebrance Day” con il tributo ai caduti di tutte le guerre. Minuto di silenzio vero. Sessantasettemila persone in piedi e in silenzio, dopo che il cannone ha sparato a salve l’inizio del ricordo.





Gli inni, con il “Flower of Scotland” suonato a metà. Poi, lo stadio a cappella a fare la seconda parte.
La “Haka”. La Scozia che non ha paura, che quando si avvicina agli All Blacks fa impazzire il pubblico, che ruggisce, esaltato dai suoi 23 eroi che varcano la metà campo per dimostrare al nemico di non aver paura.


Poco prima, medagliati olimpici e parolimpici di Londra 2012 hanno sfilato in campo, raccogliendo il giusto tributo. E Sir Chris Hoy, due medaglie d’oro su una bicicletta, ha l’onore di consegnare all’arbitro il pallone dell’incontro.
Visser, dicevamo, e la Scozia che va addirittura avanti, 7-3. Sfruttando un errore a metà campo di Dan Carter (a fine gara comunque votato Man of the match per i suoi 21 punti e la perfezione dalla piazzola) che serve Scott. Il centro non riesce a volare via, ma ha la forza di servire “Timbo” che porta il sostegno sulla fascia sinistra. Timmy-boy mette il turbo e va a marcare.
Poi, il buio. E, si sa, al buio i “tutti neri” diventano invisibili. 
E se prima li fermavi a fatica, adesso non li tieni più.
Allora prima Savea, poi Cory Jane, le due ali, si infilano nella difesa scozzese e tracciano il solco nel punteggio che si manterrà, quasi inalterato, per tutta la gara. Poco prima, l’estremo Dagg aveva trovato il varco giusto, in un’azione nata da un line-out battuto veloce ( e forse storto) dal tallonatore Hore.
A questo punto, la Scozia è “in barca”. Gli All Blacks mettono in mostra tutta la loro classe, nei breakdown ma soprattutto nel gioco alla mano, negli offloads che sono il marchio di fabbrica di questa squadra che sembra imbattibile, che in certi momenti sembra una marea, una marea nera che ti avvolge e travolge.




Capitan McCaw, uno che ha un nome che potrebbe avere parenti da queste parti, due ginocchia fasciate, i baffi coltivati dai primi undici giorni di “MOvember”, per me una delle leggende viventi della nostra era, di questo sport. Classe 1982. Open side flanker, numero 7 sulla maglia e tanta fatica sulle spalle. Dan Carter, apertura mancina nei piedi e nella testa, talento purissimo. Entrambi giocano nei Crusaders, la squadra di Christchurch, provincia di Canterbury, città martoriata due anni orsono da uno dei peggiori terremoti della storia neozelandese. Poi Weepu, mediano di mischia col fisico “pacifico” ma con un cervello sopraffino, Cory Jane... 
La Scozia si riprende da questa sbronza nera, non si sa come; come è andata in difficoltà, riprende il controllo della gara, ha una reazione d’orgoglio ma anche di testa, che porta il XV del “Saltire” (oggi la Scozia ha giocato con la seconda maglia, bianca con la croce di Sant’Andrea sia sulle maniche, sia su fronte e retro; a guardarla bene, nel suo insieme bella) a marcare una meta strepitosa, per costanza ed abnegazione, con Richie Gray (strepitosa la prova di Richie, ma di tutto il pacchetto di mischia scozzese) che, a 30” dalla sirena, gioca alla mano sui 5metri una punizione concessa per irregolarità in ruck dei neozelandesi.
La Scozia spinge, la Nuova Zelanda difende con qualche affanno, perchè ai “signori in nero” non piace essere messi sotto pressione. La Scozia va oltre la linea, con il centro Scott, ma l’arbitro non convalida la meta. Chiede aiuto al TMO; il Murrayfield trattiene il fiato, ma il giudice televisivo suggerisce al francese che la palla è stata tenuta alta.
Sconforto? No, perchè l’arbitro torna sul vantaggio. E allora si va ancora alla mano, e stavolta Geoff Cross, pilone di Edinburgh, varca la linea e marca la meta.
17-34, si chiude il primo tempo.
Nella ripresa, la Scozia marca ancora con Visser, stavolta sulla fascia destra d’attacco, con i neozelandesi in quattordici, quando Thomson va fuori dieci minuti per uso scorretto delle mani in ruck (diciamo così, per non dire che quasi calpesta un avversario). Ma gli All Blacks hanno già preso il largo, e quando Savea marca la sua seconda meta giornaliera la gara è ormai “dead and buried”. Finisce 22-51, perchè anche Ben Smith, secondo centro, va a segno. Ma, sinceramente, la Scozia può essere soddisfatta. Tolti quei maledetti dieci minuti, che hanno segnato la partita irrevocabilmente, oggi ha marcato 22 punti contro i campioni del mondo in carica, 3 mete, giocato a testa alta. L’ultima volta che gli All Blacks hanno giocato qui, nel 2010, era finita 3-49.
Volendo, si può guardare senza problemi il bicchiere mezzo pieno, stasera.
E berselo tutto, alla salute di questa squadra e di tutti i 67144 spettatori che hanno reso questa giornata indimenticabile.





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