sabato 17 novembre 2012

I "miei" Springboks





Il Sud Africa, dal punto di vista rugbystico, è sempre stato il mio vero “mito”.
In questa Nazione piena di contraddizioni, che da poco meno di vent’anni si è riaffacciata al mondo dopo un periodo “oscuro”, si gioca un rugby duro, cattivo a volte, ma quanto mai fisico e “prepotente”.
Anzitutto, la storia di questo Paese è riassunta molto bene in questo sport.
Durante il regime di apartheid che ha “oscurato” il Sud Africa, la squadra di rugby era sottoposta ad una specie di “embargo”, che le impediva di prendere parte alle competizioni internazionali come punizione per la politica interna. Oltretutto il rugby, sport nazionale, era praticato solo dai bianchi, come tutti gli sport, dal momento che la legge introdotta nel 1948 impediva ad ogni club di convocare atleti di colore. 
Al termine del “medioevo sudafricano”, coinciso con l’anno 1992, al Sud Africa fu concesso di partecipare alla Coppa del Mondo. 
Anno di grazia, 1995.
L’organizzazione di questa “World Cup” fu affidata, simbolicamente, proprio ai sudafricani.
Il lavoro di preparazione tecnico-fisica fu lungo, perchè la Nazionale non giocava da anni un incontro internazionale di alto livello. Tuttavia, il Sud Africa arrivò in finale contro i rivali di sempre, la Nuova Zelanda, e vinse la Coppa con un drop nei tempi supplementari.
Il momento in cui Nelson Mandela, con la maglia della squadra, alzò il trofeo, è stato consegnato anche alla storia del cinema dal film “Invictus”, ma è decisamente rimasto nella memoria collettiva degli amanti di questo sport.
Insomma, il Sud Africa, così come gli All Blacks, non è semplicemente una squadra di rugby. Difficilmente, nel rugby con una certa tradizione, una squadra è solo un insieme di giocatori che indossano la stessa maglia, anche perchè quella maglia ha alle spalle almeno un secolo di storia. Gli Springboks appartengono a questa stirpe, con tutti gli onori.
La squadra ostracizzata che ha saputo diventare “one team, one country”, campione del mondo alla prima occasione.



Il “mio” Sud Africa, però, nonostante oggi abbia visto gli Springboks giocare dal vivo per la prima volta nella mia vita, è quello che ha “distrutto” i Lions nel 2009.
In quell’anno, mi affacciavo al rugby come giornalista e il mio primo “incarico” fu quello di stilare le pagelle di Sud Africa-Nuova Zelanda, gara di Tri Nations che precedeva la calata dei “Tourists” europei nella terra delle gazzelle. Quel Sud Africa contava in squadra una delle seconde linee più forti della storia, con Victor Matfield e Bakkies Botha, poteva schierare apertura Ruan Pienaar, J. Steyn estremo, Smit-Du Plessis e Mtawarira, the Beast, in prima linea. E un giovane Morne Steyn, apertura dei Bulls, che vinse con un calcio da 50 metri il secondo test... insomma, una squadra impressionante, che ebbe un impatto sui Lions devastante, soprattutto in occasione della seconda partita, una vera e propria battaglia.
Di quel Sud Africa, nella gara odierna, è rimasto Morne Steyn, che oggi è partito dalla panchina, JP Pietersen, ala fisica e potentissima, Jean De Villiers, uno dei migliori centri al mondo, che adesso è capitano degli Springboks.
Ma, soprattutto, è rimasto il loro marchio di fabbrica, la loro devastante potenza fisica, l’impatto che tuttegli avversari subiscono. 
Nonostante la Scozia non sia apparsa, almeno nel primo tempo, un avversario che potesse impensierire i Boks, soprattutto dopo l’uscita prematura dal campo del sempre ottimo Richie Gray, oggi è stato bellissimo vederli giocare.
Per noi, poco poeti, poco avvezzi al “poetry rugger”, come l’ho ribattezzato oggi, è rassicurante vedere, dopo gli All Blacks e il loro modo di giocare quasi didascalico, questi quindici “omoni” in verde, che riescono a coniugare la tecnica e la forza fisica concedendo quasi nulla ai lazzi, che ripuliscono i raggruppamenti come fossero buttafuori, che giocano col pick-and-go ma anche col mediano, che calciano quando serve, che non si avventurano mai in piroette o acrobazie.
Ci ricordano, col loro accento così caratteristico, così poco inglese, che, dopo la grandezza degli All Blacks, anche sulla terra si puà giocare a rugby, vincendo e divertendo quelli che, come me, apprezzano anche una pinta di birra o di sidro, e non solo lo spumante.
E ci ricordano che, sulla terra, i migliori sono ancora loro.

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