venerdì 30 novembre 2012

Light Night (comincia il Natale...)





Giovedì 29 novembre segna l’inizio del Natale, ad Edimburgo. O, meglio, del periodo che lo precede, nonostante si abbia, davvero, l’impressione che la festività sia davvero prossima (e non manchi poco meno di un mese...)
La cerimonia di accensione delle luci dell’abete sul Mound è in programma alle ore 5pm; c’è qualche minuto di ritardo, e contando che il termometro segna già -2°C ogni secondo di attesa diventa pesante, ma tutto sommato lo spettacolo è interessante.



Il cerimoniale prevede l’arrivo di un enorme Santa, spinto dai folletti, che precede un carro dove viene rappresentato un bambino che sogna i doni sotto l’albero. Quindi, il bambino si alza in volo e arriva fin sotto l’abete; quando, dopo un pò di fatica, raggiunge il pacco regalo, partono i fuochi d’artificio dal castello e le luci dell’abete si accendono.
Quasi 15mila persone hanno assistito a questo spettacolo, assiepate sui marciapiedi che conducono al Royal Mile.
Intanto, nei West Princes Garden, le luci del parco giochi e dei mercatini erano accese fin dal mattino; nello spazio tra i giardini e la National Gallery è stato allestito un mercatino di natale tedesco, con le tradizionali casette in legno.
Insomma, il periodo natalizio è ufficialmente cominciato. E oggi è ancora tempo di festa, per il St.Andrew’s Day...


Hearts-Celtic





Mi ero ripromesso di non andare. Infatti, il biglietto per la gara di mercoledì l’ho comprato in prevendita, certo, ma solo martedì mattino. Tutta colpa di twitter e dei nuovi “amici telematici”, della campagna #SaveOurHearts e del fatto che questa squadra mi ha proprio preso, alla fine.
Insomma, alla fine alle 6pm salgo sul bus numero 33, dai West Princes Gardens, fermata praticamente di fronte alla National Gallery in Princes St, dopo esser stato in centro per un “Praline Latte” da Costa (paghi uno prendi due, non male); noto che già sul bus ci sono molte sciarpe maroon, mi sento tra amici, ma ognuno sta sulle sue e la mia esce dalla tasca del parka solo in prossimità della fermata.
C’è tanta polizia per strada (anche a cavallo), quando il bus imbocca Dalry Rd; del resto, quella di stasera è riconosciuta come “partita a rischio” perchè tra Jambos e Bhoys non corre buon sangue. Colpa delle troppe bandiere irlandesi da una parte, della religione, della rivalità tra Edimburgo e Glasgow, delle Union Jack sventolate da questa parte, dell’aggressione a Neil Lennon di un anno e mezzo fa.
Il Tynie stasera non sarà sold out, però 15260 spettatori sono pur sempre un bel colpo d’occhio; il Roseburn Stand, il settore riservato agli ospiti, sarà praticamente esaurito e i supporters Hoops, per quanto, dopo stasera, non siano più tra i miei preferiti, devo riconoscere che saranno uno spettacolo.
Ma prima che tutto cominci, prima dei sette arresti, della torcia accesa dagli ospiti, dei canti settariani, del “la carestia è finita tornate a casa” e “volate indietro in Inghilterra”, degli inni irlandesi cantati a squarciagola e di un tifo che, mi dicono, si è sentito a qualche miglio di distanza, prima di tutto questo, molto banalmente, trovo il mio posto nel Gorgie Stand, realizzo che vedrò la gara da una prospettiva fantastica e mi alzo, per una “mince pie” (bissata, nell’intervallo, stavolta da una “gravy pie” decisamente più buona anche nel nome - Hearty Pie) e un caffè caldo che mi riconcilia col mondo. C’è tempo di sfogliare il programma, di farsi un’idea sulle formazioni, prima di riprendere il mio posto 22, settore Z fila 7. Sul calcio d’angolo, con la porta alla mia destra e il Wheatfield Stand alla sinistra, con gli ospiti di fronte e l’impressione, per un attimo, di essere nel parterre di Marassi...



Poi comincia la gara e, per i supporters maroon, il calvario. Che, ad esser sinceri, dura mezz’ora. Al 30’ il Celtic è già avanti, 3 a 0. Capitan Zaliukas in bambola totale, squadra intimorita dalla forza fisica celtica. Game over.
I giovani Jambos si “sbattono” in campo, ma gli Hoops danno l’impressione di strapotenza, a volte strafottenza, sono decisamente sovradimensionati per questa insipida SPL. Quando Hooper mette a segno il gol dello 0-4, il Tynecastle inizia a svuotarsi. Four goal doon. Prima della gara, wee chances di strappare un punto. Adesso, meno di zero.
Entra anche Samaras, l’attaccante greco, entra anche Scott Brown, odioso capitano della nazionale scozzese, una sorta di John Terry in kilt; fortunatamente, la sete di sangue delle belve in biancoverde è sazia e non infieriscono ulteriormente sulle rovine degli Hearts.
Che, sul finire, sbagliano anche un calcio di rigore; o, meglio, il portiere inglese del Celtic, Forster, già convocato da Roy Hodgson nella nazionale dei “Three Lions”, si supera negando a “Zal” la soddisfazione del gol e completando una serata molto positiva, fatta di almeno tre parate strepitose.
Finisce così; al fischio di chiusura, il pubblico rimasto sugli spalti si affretta verso le uscite.
Fortunatamente, la Lothian Buses ha aumentato le corse in zona e aspetto meno di cinque minuti prima di imbarcarmi sul bestione numero 1 verso Prince St.
Il bus fa capolinea ad Easter Rd, ironia della sorte, dove proprio domenica prossima, alle 3.30pm, gli Hearts saranno di scena per il 4th round di Scottish Cup, nel derby contro gli Hibs. Un remake dell’ormai celeberrima finale della scorsa stagione, finita 5-1 per gli Hearts e diventata, da più di sei mesi, un vero e proprio trend tra tutti i tifosi maroon.
Stavolta, questa la vedremo al pub. Stand ospiti esaurito in prelazione in meno di due giorni. 


lunedì 26 novembre 2012

The boy who can't stop smiling



L'articolo che vedete qui sopra è apparso nel numero odierno di "Metro", il quotidiano gratuito distribuito, ad Edimburgo, a bordo dei bus.
Racconta una storia davvero incredibile, per la tragicità dell'argomento, ma soprattutto per la forza di volontà di questo bambino inglese della contea di Durham (nord est), Max.
Questo bambino, affetto dalla sindrome di Down, è nato con una malformazione cardiaca e una grave forma di leucemia. Ha dovuto sopportare, nei suoi due anni di vita, sei mesi di chemioterapia al "Royal Victoria Infirmary Hospital" di Newcastle.
Tuttavia, come dice la mamma, anche nei momenti più difficili, anche quando ha dovuto affrontare una crisi respiratoria, Max non ha mai smesso di sorridere.
Quella che stringe tra le mani è il premio "Little Star Award", premio assegnatogli dalla Cancer Research UK.
Possa essere d'esempio per tutti, la storia di questo bimbo, che non ha mai smesso di ridere e lottare nemmeno di fronte a malattie più grandi di lui.

domenica 25 novembre 2012

Road to Aberdeen...





Quando ho ricevuto la conferma di accettazione della richiesta di accreditamento agli “EMC Autumn Test 2012” della Scozia, sapevo che l’ultima gara, nonostante l’avversario non fosse la squadra più forte del pianeta o la mia nazionale preferita, aveva comunque “qualcosa” di interessante.
Quel qualcosa si chiamava Pittodrie Stadium.
Già, perchè la SRU aveva deciso di giocare contro All Blacks e Springboks al Murrayfield, ovviamente, ma l’ultimo test match contro Tonga era in programma ad Aberdeen.
Quindi, bisognava anche organizzare il viaggio, per arrivare ad Aberdeen. Non bastava prendere il bus numero 26 da Princes St. e scendere in prossimità dello stadio, poche fermate e qualche minuto dopo, inclusa la deviazione per i lavori sulla linea dei tram (vedi sotto...) in zona Haymarket.
Dopo un veloce confronto su internet, decido che la via migliore sarà il bus. Anzi, per essere precisi, il Megabus. Qui sono senz’auto, i treni costano veramente troppo e il modo migliore di muoversi per la Scozia, ma direi per tutto il Regno Unito, restano i bus. Mettendo in preventivo, ovviamente, di avere un pò di tempo a disposizione.



Partenza dalla St.Andrew’s Bus Station alle 8.25am, arrivo alla Bus Station di Aberdeen attorno alle 11.30; prima, colazione come al solito splendida allo Snax Cafè, un bar gestito da quattro ragazze molto “easy” in una via abbastanza nascosta in fianco al St.James’ Centre, che a mio parere vale una visita anche se si è di passaggio per Capital City.
All day breakfast a £3, caffè a 50pence. 
Quindi, corroborati nello spirito ma soprattutto nel corpo, possiamo affrontare il viaggio verso la Granite City.
Arriviamo ad Aberdeen dopo essere passati per Perth, dove abbiamo cambiato bus; qui, troviamo ad attenderci già a bordo moltissimi ragazzi diretti alla partita, come noi, nonchè alcuni turisti che scenderanno poi a Dundee. Il viaggio è lungo, però il paesaggio, nonostante in alcuni momenti sembri tutto uguale, ha alcuni momenti di rara bellezza; tra questi, per me, il passaggio sul Forth Bridge, il “Golden Gate Bridge” di Edimbugo.
In prossimità di Aberdeen, alla nostra destra si spalanca il Mare del Nord, freddissimo ma baciato da un (timido) sole che farebbe, con molta fantasia, quasi pensare ad un asciugamano sulla spiaggia.
Aberdeen è bella; la città deve il soprannome di “Granite City” al fatto che i suoi palazzi, per la maggior parte, sono stati costruiti col granito, che conferisce a tutta la città il caratteristico colore grigio. 



Siamo in anticipo e riusciamo anche a fare i turisti, per un’oretta. Non ci sono monumenti “indimenticabili”, ma l’insieme, con il porto, il mare, il sole e, forse, anche il periodo già natalizio, mi lascia davvero un bel sapore.



Arriviamo a piedi al Pittodrie, che si spalanca ai nostri occhi da una parallela alla strada che stavamo percorrendo. Lo stadio è situato quasi in riva al mare, che si intravede dalle tribune dietro il campo da golf che parte dal piazzale dietro il “Richard Donald Stand”, lo stand più nuovo, su due livelli, costruito dietro una delle due porte. 



L’architettura del Pittòdrie, pronunciato rigorosamente con l’accento sulla “o”, ricalca quella tipica degli stadi britannici old style; quattro stand indipendenti, senza curve, coperti per buona parte, senza tabellone luminoso. Ventiduemila spettatori, circa, tutti posti a sedere; distanza dal campo, praticamente nulla. Una gara di rugby, qui, è bellissima, ma immagino cosa dev’essere un incontro di football, con lo stadio così pieno. L’atmosfera. Oltretutto, l’Aberdeen FC può contare su un pubblico molto caloroso. Il main stand, la tribuna centrale, che è di solito anche lo stand più vecchio, ha ancora i piloni a restringere la visuale. Da qui, vedo la gara.



Con il kick off fissato alle 3pm, il secondo tempo si gioca sotto i riflettori; siamo fortunati, oggi, perchè nonostante ci siano 5°C il vento non infierisce e si sopportano anche, abbastanza agevolmente, i quaranta minuti al buio. Con i riflettori accesi, il fascino del Pittodrie aumenta ancora, se possibile. Il pubblico oggi è anche caloroso e appassionato, nonostante la Scozia riesca, in campo, a mostrare fasi di bel gioco.



Al termine, torniamo ancora a piedi verso il centro città, stavolta seguendo la fiumana di tifosi che lascia lo stadio tutt’altro che soddisfatta dopo la sconfitta patita dalla Scozia. Abbiamo il bus alle 8.15pm, quindi tutto il tempo a disposizione per un ultimo giro in città e per la cena prima di imbarcarci direzione sud, direzione Capital City.



Arriviamo ad Edimburgo dopo poco meno di tre ore, e troviamo effettivamente Princes St. sgombra dai cantieri come previsto. Anche i lavori per la preparazione degli eventi natalizi sembrano essere praticamente terminati, in vista dell’apertura ufficiale prevista per il 29 novembre. Prendiamo l’11 verso Morningside mentre i pub si svuotano. La nostra giornata si chiude, la nottata di qualcun altro è appena cominciata...

Scotland-Tonga





Motivazioni. Nella vita e nello sport, sono il fondamento su cui si costruiscono tutti i risultati. Quando sono poche, di solito la strada non è molto lunga. Quando sono troppe, c’è il rischio di non saperle gestire.
Quanto capitato alla Scozia, oggi, è espresso esattamente nella seconda ipotesi.
La squadra di coach Robinson scende in campo al “Pittodrie” di Aberdeen con la pressione di portare a casa una vittoria convincente; la Scozia, oggi, non deve solo vincere, deve anche dare impressione di una ritrovata vitalità, dopo le due prestazioni agrodolci contro le potenze All Blacks e Springboks, nell’ultima gara del 2012.
L’avversario, oltretutto, è di quelli che, almeno sulla carta, si presterebbero alla bisogna.
Tuttavia, guai a sottovalutare la controparte, nel rugby.
Tonga, numero 12 del ranking IRB, che ha da poco lasciato alle Fiji il per nulla ambito titolo di “peggiore tra le nazionali pacifiche”, battuta non senza difficoltà anche dall’Italia ad inizio mese, nel primo test match degli Azzurri al “Rigamonti” di Brescia, arriva ad Aberdeen con la leggerezza di chi non ha nulla da perdere. 
La squadra, di per sè, non è malaccio; nel XV titolare di oggi, quattro giocano in Francia e due in Inghilterra, ma c’è anche un pezzetto di Italia: lo sponsor sulle maglie è una nota acciaieria del bresciano, mentre il numero dieci è sulle spalle di Apikotoa, apertura dell’Alghero Rugby.
Tonga, come tutte le nazioni pacifiche, gioca un rugby basico, supplendo alla non eccelsa tecnica con dosi, a volte eccessive, di fisicità; fisicità che, se non controllata, porta a vere e proprie ingenuità, tradotte nel rugby con punizioni contro e cartellini gialli.



La Scozia sbaglia, ancora una volta, l’approccio alla gara, perchè anzichè puntare sulla maggiore tecnica, giocando al largo per Visser e Lamont, per esempio, dando respiro alla manovra, oppure con la coordinazione tra trequarti e avanti, si incaponisce in un gioco sporco, con palle riciclate malissimo dai raggruppamenti, senza fantasia, cadendo nella trappola tesa dai tongani: ossia, accettare di giocare il rugby che gli isolani prediligono.
Ne esce un primo tempo brutto, quasi bruttissimo, con le due squadre che sbagliano anche molto dalla piazzola ma che la Scozia chiude avanti 6-3 grazie a due calci di Laidlaw. La Scozia soffre la troppa pressione, le spalle dei ragazzi di coach Robinson sono ancora troppo fragili per portare questo fardello e i blues si rifugiano appena possono nei calci piazzati. E’ evidente, fin da subito, la loro poco fiducia nei propri mezzi.



Nella ripresa, Tonga capisce che i padroni di casa hanno paura di vincere, almeno pari a quella di perdere, e premono sull’acceleratore. La Scozia si squaglia, come neve al sole, e gli isolani marcano addirittura due mete, pur giocando in 14 (sin-bin per l’openside flanker Latu, che si lancia lateralmente su una maul...) per dieci minuti centrali della ripresa; Apikotoa non trasforma una delle due marcature, ma un suo piazzato manda Tonga sul 15-21, a meno di un quarto d’ora dal termine della gara.
Robinson fa giocare tutte le riserve, adesso, provando a mescolare le carte. 
Ma la Scozia, oggi, non ne ha. 
Così anche quando Timani si fa mandare fuori per un’altra stupidata a gioco fermo, per aver letteralmente ribaltato da terra il neoentrato mediano Lawson, l’inerzia della gara non cambia. Nemmeno una mischia ai 5 metri, ripetuta tre volte, consente alla Scozia di portarsi a casa il brodino di una vittoria.



I tongani non sono più tanto simpatici, adesso, perchè sentono che possono portarsi a casa la partita, facendo, come si suol dire, saltare il banco.
E arriva, a sorpresa sulla carta ma tutt’altro che demeritata visto lo svolgimento dell’incontro, una vittoria di Tonga. Perchè quando la mischia viene resettata per la terza volta, il pack scozzese è tutto impegnato a “stappare” gli avversari e non si avvede che l’ovale è, invece, giocabile; ne nasce una ripartenza, che chiude di fatto l’incontro.
Il pubblico, numeroso e quantomai caloroso, che ha gremito le tribune del Pittodrie, resta sbalordito (poco prima, era stata l’invasione di uno striker ad eccitare la folla) e se ne va in silenzio.
La Scozia ha mancato anche l’ultima occasione per chiudere l’anno con una vittoria; serviva un miracolo, per migliorare la posizione nel ranking ed evitare un girone di ferro ai prossimi sorteggi della RWC 2015, che si terranno in dicembre. Serviva una scossa.
Una scossa è arrivata, ma non quella che Brown e compagni si aspettavano.




AGGIORNAMENTO 25.11.’12

Andy Robinson, questa mattina, si è dimesso dal ruolo di head coach della Nazionale Scozzese. Già nel corso della conferenza stampa post-partita, Robinson aveva espresso tutto il suo disappunto per la situazione che si era venuta a creare, dopo le tre sconfitte consecutive in altrettante gare casalinghe, che si andavano a sommare al “cucchiaio di legno” guadagnato nell’ultimo 6 Nazioni. 
Ovviamente, non è ancora stato deciso chi sostituirà l’inglese nel ruolo; chiunque sia, dovrà lavorare moltissimo sulla psicologia, perchè fra poco più di due mesi, esattamente il 6 febbraio, la gara contro l’Italia al Murrayfield aprirà il Championship del 2013.
E questo, come direbbero da queste parti, non è per nulla un "wee problem"...

venerdì 23 novembre 2012

Edinburgh-Ospreys




Venerdì sera, sempre tempo di "RaboDirect PRO12".
Stasera al Murrayfield va in scena un gustoso anticipo della nona giornata della competizione, con i padroni di casa di Edinburgh, alla continua e quasi disperata caccia di un risultato "importante" che possa essere la svolta della stagione, finora cominciata malissimo, che ospitano gli Ospreys.
Entrambe le formazioni sono prive degli internazionali, dal momento che le Nazionali sono ancora impegnate nei test match autunnali (domani Scozia-Tonga, al "Pittodrie" di Aberdeen, chiuderà la serie per il "Cardo")ma la partita è comunque interessante.
Per esempio, stasera il pilone di Edinburgh, Allen Jacobsen, torna a disposizione della sua squadra dopo aver deciso di abbandonare il rugby "internazionale" per motivi personali; al suo ingresso in campo, nel secondo tempo, i 3128 spettatori gli hanno tributato un lungo applauso.
Poi, nonostante le assenze, gli Ospreys sono comunque i campioni in carica della competizione "celtica" e, anche con le riserve, sono pur sempre una squadra completa e temibile.
Edinburgh stasera approccia bene la gara, nonostante chiuda il primo tempo sotto per 8-13 a causa della prestazione "monstre" dell'apertura dei gallesi, Matthew Morgan, che con una meta (trasformata) e due punizioni mette a segno tutti i punti dei "visitors"; davvero un bell'elemento, con ottima visione di gioco e un piede parimenti interessante. Peccato abbia davanti un tale Dan Biggar, in quel ruolo, ma se continua con queste prestazioni potrà certamente ritagliarsi ulteriore spazio.
Comunque sia, nella ripresa l'indisciplina degli Ospreys fa la differenza, o meglio dei loro avanti; prima Williams, poi Lewis, infatti, si prendono il giallo per falli evitabili e lasciano per venti minuti i propri compagni in inferiorità. Anche contro un Edinburgh impacciato e inconcludente, come si è dimostrato negli ultimi tempi, a questi livelli questi cali di concentrazione si pagano sempre duramente.
Per la cronaca, prima delle due espulsioni temporanee in campo ce ne sono state alcune sugli spalti, quando una comitiva di "buontemponi" alticci, vestiti chi da Santa Claus, chi da guardia britannica, ha attirato le attenzioni degli steward che ha chiesto loro di lasciare, temporaneamente, gli stand. 
A volte, capita che il campo influenzi gli spalti...



I rossoneri non riescono a marcare una meta, nella ripresa, ma trovano il piede fatato di Hunter, che dalla piazzola si scopre cecchino infallibile e con i suoi cinque calci ribalta risultato e sorti dell'incontro.
Gli Ospreys si bloccano, non riescono ad esprimere il loro potenziale offensivo e anche i trequarti, nonostante l'ottima prova della mediana, non hanno quasi mai occasioni decenti per attaccare.
Buona la prova del fratellino di Tim Visser, Sep, che si è fatto notare per alcune corse sulla fascia ma soprattutto per essere quasi venuto alle mani con il centro gallese Spratt.
La gara, comunque, si chiude 23-13 per Edinburgh, che torna alla vittoria negando addirittura il punto di bonus agli ospiti con l'ultima punizione di Hunter, oltre gli 80 minuti regolamentari, per fallo commesso in ruck proprio sotto i pali.
Adesso gli scozzesi devono concentrarsi per riaprire i giochi anche in Heineken Cup; i prossimi incontri con il Racing Metro saranno decisivi per la permanenza nella massima competizione europea.





Tram or not tram...




Sabato 24 novembre, dopo più di un anno di attesa, Princes St., la via principale della "New Town" di Edimburgo, sarà riaperta al traffico dei bus, senza più i cantieri che, finora, hanno paralizzato la viabilità soprattutto nel lato sud-est, verso Leith Street.
Nel suo piccolo, una grande notizia, seppure spinta decisamente dalle pressioni che tutti i commercianti stavano facendo per avere, almeno nel periodo natalizio, maggiore e migliore affluenza per la clientela.
I cantieri di cui sopra sono dovuti ad un'opera che ha suscitato un sacco di polemiche, ma che allo stesso modo è stata fortissimamente voluta dall'Edinburgh Council: il tram.
Questa linea di tram doveva collegare, nel primo progetto, l'aeroporto della capitale con il quartiere di Leith.
Purtroppo, a lavori già iniziati, ci si è resi conto che il tram non poteva passare in una strada, dopo Princes St, troppo stretta e in discesa. Allora, cambio in corsa: capolinea dell'opera sarà St.Andrew's Square, la piazza posizionata proprio sopra la già citata arteria principale, che ospita tra l'altro la trafficatissima Bus Station (ed è a meno di 5 minuti a piedi dalla stazione centrale di Waverley).
I  commercianti hanno sempre osteggiato quest'opera, troppo costosa e la cui realizzazione ha preso troppo tempo. Non sono mancate le proteste, anche clamorose, come quelle di una copisteria in zona Haymarket che ha affisso, periodicamente, poster alle vetrine che esprimevamo contrarietà all'opera citando film famosi.


Il primo, e non poteva essere altrimenti, prende ispirazione da "Trainspotting"...
Insomma, si comincia a vedere la fine di qualche cantiere, almeno in centro.
Non voglio farmi prendere il pessimismo, ma spero di poter prendere il tram, almeno una volta, per andare all'aeroporto, quando mi servirà... mi sono dato qualche mese, vedremo come andrà a finire (una volta per tutte)

sabato 17 novembre 2012

I "miei" Springboks





Il Sud Africa, dal punto di vista rugbystico, è sempre stato il mio vero “mito”.
In questa Nazione piena di contraddizioni, che da poco meno di vent’anni si è riaffacciata al mondo dopo un periodo “oscuro”, si gioca un rugby duro, cattivo a volte, ma quanto mai fisico e “prepotente”.
Anzitutto, la storia di questo Paese è riassunta molto bene in questo sport.
Durante il regime di apartheid che ha “oscurato” il Sud Africa, la squadra di rugby era sottoposta ad una specie di “embargo”, che le impediva di prendere parte alle competizioni internazionali come punizione per la politica interna. Oltretutto il rugby, sport nazionale, era praticato solo dai bianchi, come tutti gli sport, dal momento che la legge introdotta nel 1948 impediva ad ogni club di convocare atleti di colore. 
Al termine del “medioevo sudafricano”, coinciso con l’anno 1992, al Sud Africa fu concesso di partecipare alla Coppa del Mondo. 
Anno di grazia, 1995.
L’organizzazione di questa “World Cup” fu affidata, simbolicamente, proprio ai sudafricani.
Il lavoro di preparazione tecnico-fisica fu lungo, perchè la Nazionale non giocava da anni un incontro internazionale di alto livello. Tuttavia, il Sud Africa arrivò in finale contro i rivali di sempre, la Nuova Zelanda, e vinse la Coppa con un drop nei tempi supplementari.
Il momento in cui Nelson Mandela, con la maglia della squadra, alzò il trofeo, è stato consegnato anche alla storia del cinema dal film “Invictus”, ma è decisamente rimasto nella memoria collettiva degli amanti di questo sport.
Insomma, il Sud Africa, così come gli All Blacks, non è semplicemente una squadra di rugby. Difficilmente, nel rugby con una certa tradizione, una squadra è solo un insieme di giocatori che indossano la stessa maglia, anche perchè quella maglia ha alle spalle almeno un secolo di storia. Gli Springboks appartengono a questa stirpe, con tutti gli onori.
La squadra ostracizzata che ha saputo diventare “one team, one country”, campione del mondo alla prima occasione.



Il “mio” Sud Africa, però, nonostante oggi abbia visto gli Springboks giocare dal vivo per la prima volta nella mia vita, è quello che ha “distrutto” i Lions nel 2009.
In quell’anno, mi affacciavo al rugby come giornalista e il mio primo “incarico” fu quello di stilare le pagelle di Sud Africa-Nuova Zelanda, gara di Tri Nations che precedeva la calata dei “Tourists” europei nella terra delle gazzelle. Quel Sud Africa contava in squadra una delle seconde linee più forti della storia, con Victor Matfield e Bakkies Botha, poteva schierare apertura Ruan Pienaar, J. Steyn estremo, Smit-Du Plessis e Mtawarira, the Beast, in prima linea. E un giovane Morne Steyn, apertura dei Bulls, che vinse con un calcio da 50 metri il secondo test... insomma, una squadra impressionante, che ebbe un impatto sui Lions devastante, soprattutto in occasione della seconda partita, una vera e propria battaglia.
Di quel Sud Africa, nella gara odierna, è rimasto Morne Steyn, che oggi è partito dalla panchina, JP Pietersen, ala fisica e potentissima, Jean De Villiers, uno dei migliori centri al mondo, che adesso è capitano degli Springboks.
Ma, soprattutto, è rimasto il loro marchio di fabbrica, la loro devastante potenza fisica, l’impatto che tuttegli avversari subiscono. 
Nonostante la Scozia non sia apparsa, almeno nel primo tempo, un avversario che potesse impensierire i Boks, soprattutto dopo l’uscita prematura dal campo del sempre ottimo Richie Gray, oggi è stato bellissimo vederli giocare.
Per noi, poco poeti, poco avvezzi al “poetry rugger”, come l’ho ribattezzato oggi, è rassicurante vedere, dopo gli All Blacks e il loro modo di giocare quasi didascalico, questi quindici “omoni” in verde, che riescono a coniugare la tecnica e la forza fisica concedendo quasi nulla ai lazzi, che ripuliscono i raggruppamenti come fossero buttafuori, che giocano col pick-and-go ma anche col mediano, che calciano quando serve, che non si avventurano mai in piroette o acrobazie.
Ci ricordano, col loro accento così caratteristico, così poco inglese, che, dopo la grandezza degli All Blacks, anche sulla terra si puà giocare a rugby, vincendo e divertendo quelli che, come me, apprezzano anche una pinta di birra o di sidro, e non solo lo spumante.
E ci ricordano che, sulla terra, i migliori sono ancora loro.

Scotland-South Africa





Un sole splendido nel cielo, alternato da una breve shower mattutina, attende i 60mila che a meno di una settimana dalla splendida domenica contro gli All Blacks, hanno scelto di gremire le tribune del “Murrayfield” per il secondo test-match autunnale della Scozia.
Ospiti, questa volta, sono gli Springboks, numeri due nel ranking dell’IRB alle spalle degli All Blacks e, pari a loro, una delle nazionali con più storia e tradizione dell’intero pianeta. Oltretutto, assurta a simbolo della ritrovata “libertà” del tribolato Paese africano e delle sue contraddizioni, campioni del mondo nel 1995 alla prima partecipazione alla World Cup, dopo la caduta del regime di apartheid che ha tenuto il Sud Africa relegato ai margini dello sport internazionale per quasi un secolo.
La gara di oggi, contro una Scozia assetata di rivincita dopo la brutta (e immeritata nel punteggio) sconfitta patita contro gli All Blacks, è pur sempre un test match autunnale senza l’ambizione di scrivere la Storia. Tuttavia, quando le nazionali dell’emisfero sud compiono il loro percorso “down-under” per affrontare le “Home Nations”, c’è sempre, dietro l’angolo, la possibilità di assistere ad un grande incontro. Nonostante non sia “sold out”, il colpo d’occhio del Murrayfield è, ancora una volta, davvero splendido; nel prepartita, in tutto il perimetro dello stadio, c’erano militari (anche una mascotte) coinvolti nella raccolta fondi per le associazioni che si occupano di assistere i militari feriti e le famiglie dei militari caduti in servizio. Ad una settimana dal “Remembrance Day”, la Federazione Scozzese di rugby continua nella sua collaborazione con le forze armate, tanto che anche nei momenti che hanno preceduto il kick-off, il cerimoniale ha visto protagonisti militari.



Fireworks, applausi, commozione durante gli inni, un momento che trovo sempre molto toccante, con le due squadre schierate a bordo campo. Inno in tripla lingua per i Boks, cornamuse per la prima parte del “Flower of Scotland”, poi tutto il Murrayfield a cappella.



Escono le bande, si porta a termine il cerimoniale.
Il momento della poesia, oggi, finisce qui.
Perchè gli Springboks sono, da questo punto di vista, uno dei peggiori interpreti del “poetry rugger”, il rugby in versi. E a me, il loro modo di giocare, piace incredibilmente.
Fin dalle prime battute, i sudafricani mettono in chiaro quello che sarà il canovaccio dell’incontro: attacco furioso in ogni breakdown, difesa della linea durissima, con ripartenze prepotenti ma mai arrembanti, mai frutto del caso, mai lasciate all’improvvisazione. Tutto è calcolato nei minimi dettagli. E la Scozia subisce terribilmente questo modo di giocare, complice anche un approccio meno determinato rispetto a quello mostrato contro la Nuova Zelanda e l’infortunio di Gray, costretto a lasciare il campo dopo essere stato colpito duramente alla spalla. Il Sud Africa marca una meta nel primo tempo, ma chiude avanti “solo” 14-3, anche a causa del fatto che i Boks non hanno spinto più di tanto sull’acceleratore, accontentandosi, per così dire, di gestire l’incontro e bloccare la Scozia nel suo punto forte, l’attacco. Nella ripresa, scende in campo una nuova Scozia, il cambio in mediana, con l’ingresso di Pyrgos al posto di Blair che è incappato nella classica “giornata storta” dà i suoi frutti, ma prima che i blues chiudano i Boks nella loro metà campo, il Sud Africa ha marcato al 46’ la meta che chiude, di fatto, il match. Strauss, il tallonatore, intercetta l’ovale sui 10metri e si fa quasi quaranta metri di corsa solitaria prima di andare a schiacciare l’ovale sotto i pali. Lambie, che ha giocato apertura al posto di Morne Steyn, trasforma. 21-3, sostanzialmente game over.



O, meglio, adesso comincia un’altra gara.
La Scozia gioca, ci crede finalmente, i Boks fanno meno paura anche nei raggruppamenti, nei set-pieces i Blues trovano il giusto assetto e infatti proprio Pyrgos, su una line out giocata magistralmente in duo con Kellock sul laterale destro di attacco, marcano la meta che riaccende il match. Minuto 56. C’è ancora una vita da giocare.
Tutto il “Murrayfield” ruggisce, adesso, come non era capitato nell’ultima partita; tutto il pubblico prova a spingere i suoi ragazzi verso la seconda meta, ma oggi la fisicità degli attaccanti scozzesi ha dovuto fare i conti con quella, superiore, dei sudafricani, Visser non ha potuto dare il suo solito contributo e la gara finisce così, con capitan De Villiers e compagni che conquistano, meritatamente, la vittoria.
La Scozia incassa la seconda sconfitta consecutiva e, oggi, fa un passo indietro nella prestazione complessiva, rispetto a quanto mostrato contro i campioni del mondo.
Adesso resta Tonga, prossimo ospite nell’ultimo test match di Aberdeen, per chiudere con una vittoria questa agrodolce serie autunnale.

Commenti post-partita



Andy Robinson (Scotland head coach): contro gli All Blacks abbiamo sofferto la tecnica, oggi abbiamo sofferto, troppo, la fisicità del Sud Africa. Abbiamo concesso troppe punizioni, abbiamo placcato alto e non in maniera sufficientemente incisiva. Fisicità della difesa, il modo di costruire il gioco: questi sono gli aspetti del Sud Africa che ci hanno messo in difficoltà oggi. Ci hanno dato una lezione, sotto molti punti di vista, di interpretazione del gioco. Ruan Pienaar è un giocatore di primo livello nel suo ruolo, nel gioco al piede, e oggi ne ha dato prova quando ha avuto la possibilità di calciare in avanti per i compagni. JP Pietersen è un attaccante fisico e potente, ma oggi ha dimostrato di essere anche un grande difensore. Dobbiamo fare tesoro di questi insegnamenti. Noi avevamo pianificato il nostro gioco, la nostra gara. Nella ripresa, quando siamo riusciti a portare la pressione sugli avversari, abbiamo mostrato di poter fare la nostra parte. Dobbiamo ripartire da qui.

Kelly Brown (Scotland captain): abbiamo lottato, sono contento come capitano della prestazione della squadra ma siamo stati troppo indisciplinati, soprattutto nel primo tempo. Settimana prossima contro Tonga dobbiamo centrare la vittoria. 

Heyneke Meyer (SA head coach): grande primo tempo, ma onestamente non siamo contenti di come abbiamo  giocato la ripresa. Troppe punizioni concesse, troppi falli, anche nelle mischie non abbiamo giocato bene, abbiamo lasciato troppe occasioni per la Scozia. Che, comunque, ha giocato molto bene. Due anni fa ci ha battuto, ha battuto una squadra molto esperta, e oggi era importante vincere, nonostante i troppi errori. C’è molta pressione su Zane Kirchner (l’estremo, ndr) ma anche oggi ha fatto un’ottima gara.

Jean De Villiers (SA captain): siamo dispiaciuti per gli ultimi trenta minuti dell’incontro, ma siamo contenti di aver vinto; la Scozia settimana scorsa ha marcato tre mete contro i numeri uno al mondo e abbiamo curato molto questo aspetto, difensivamente, di non farli avvicinare alla linea di meta. 

venerdì 16 novembre 2012

Why always Mario? "Time" parla di Balotelli (e dell'Italia)




Il numero di "Time" del 12 novembre scorso è uscito nelle edicole con una copertina dedicata a Mario Balotelli.
Un'intervista al "SuperMario" nazionale è il pretesto, da parte del magazine, di parlare dell'Italia e del suo rapporto con il razzismo e l'integrazione.
Il quadro che ne esce non è, onestamente, esaltante, nè per Balotelli, né per il Belpaese.
Anzitutto, il magazine è rivolto, nonostante sia ampiamente divulgato in Europa e in tutto il resto del mondo, ad un pubblico statunitense. Infatti, in molte parti dell'articolo Catherine Mayer, la giornalista autrice del pezzo, si deve soffermare in spiegazioni tecniche di ambiti del "soccer" sconosciuti alla maggior parte degli americani stars&stripes, non avvezzi a questo sport.
L'articolo parla della carriera di Balotelli, fuori e dentro il campo, con un excursus sulle sue "avventure" extra calcistiche, gli amori, le turbolenze, dai primi anni di vita fino all'inizio della sua carriera all'Inter, per arrivare all'attualità, agli ultimi due anni passati al Manchester City dello sceicco e dei milioni facili.
L'aspetto tuttavia interessante è come la giornalista prenda spunto dall'esordio di Mario con la maglia della Nazionale italiana, nel 2008, per mettere in luce il rapporto tra l'Italia e i suoi cittadini "di colore".
In poche righe, piantate nel bel mezzo dell'articolo, si dice che fin dai suoi esordi in maglia azzurra Balotelli è stato accompagnato da cori razzisti, del tipo "There's no such thing as black Italian", passando per la (effettivamente imbarazzante) vignetta pubblicata dalla "Gazzetta dello Sport" nel corso degli ultimi europei, dove Mario era rappresentato come un King Kong aggrappato al Big Ben, e arrivando a "Tuttosport" che, dopo la vittoria contro la Germania nella stessa competizione con la doppietta del bresciano, titolava emblematicamente "Li abbiamo fatti neri".
Mario, divenuto italiano a tutti gli effetti solo con la maggiore età (perchè la sua "vera" famiglia, di origini ghanesi, si è sempre opposta all'adozione) ha sostenuto, in alcune interviste, di aver scelto di lasciare l'Italia perché era diventato "un Paese razzista". Effettivamente, contro di lui si è scatenata l'ignoranza di parecchie tifoserie, che hanno scelto, per punire i suoi atteggiamenti molte volte indisponenti, di insultarlo per il colore della sua pelle. Mentre, come ammette lui stesso sulle pagine di Time, "in Inghilterra tutti sono uguali". Frase ad effetto, perchè effettivamente, purtroppo, anche da queste parti il fenomeno del razzismo esiste, è latente e sempre pronto ad esplodere (JT insegna, per esempio...)
Una verità, però, c'è; qui, se ti impegni e, come fa lui, aiuti il tuo Club a vincere trofei, molte cose ti vengono perdonate, nonostante le pagine dei tabloid siano sempre piene, appena possibile, delle sue bravate.
La maglietta che ha mostrato dopo un gol allo United, "Why always me?" è diventata una canzone, che ha cantato assieme al rapper di origini, guarda caso, ghanesi Tinchy Strider, e poco dopo uno dei best-seller nello shop del City, perché la Umbro ha deciso di produrla in serie.
Nonostante il suo rapporto con Mancini, di amore/odio, Mario continua nei suoi alti e bassi anche in Inghilterra, alternando partite strepitose ad espulsioni stupide, per far sempre parlare i tabloid con comportamenti fuori dal campo "stravaganti".
"Se non giocasse per noi, lo odieremmo, per le stesse ragioni per cui lo amiamo", ammette candidamente Ed Owen, tifoso del City da sempre e parte dell'articolo come "voce narrante" della storia del Club; "ma gioca con noi. Per questo lo amiamo".
La chiosa del pezzo è rivolta al futuro di Mario nel City, perché ultimamente Mancini ha dichiarato di essere quasi arrivato al limite della sopportazione degli atteggiamenti dell'attaccante.
Una cosa è certa: vista da fuori, l'Italia non appare quasi mai il Belpaese che immaginiamo noi. Tolto il campo culinario e delle bellezze architettoniche, nel quale ancora eccelliamo, siamo visti come un Paese marginale, in evoluzione e in transizione, con una politica da barzelletta e presi ad esempio quasi sempre per eventi negativi.
Cosa serva per modificare questa visione, non lo so. Probabilmente, però, iniziare a presentare meglio il nostro Paese all'Estero, mettendo noi in evidenza i nostri punti di forza, potrebbe essere un buon punto di partenza.



Il fascino del "reduced to clear"




Una delle cose che mi è sempre piaciuto fare, anche in Italia, è andare al supermercato per fare la spesa.
Qui, devo dire che mi sono trovato, anche sotto questo aspetto, praticamente a casa fin dal primo giorno.
Conoscevo già, per aver visitato la Gran Bretagna in altre occasioni, molte delle catene di supermercati del Paese; ma poterci andare tutti i giorni ti permette di scoprire aspetti che, altrimenti, resterebbero sconosciuti.
Una delle più belle scoperte, oltre alle varie "prelibatezze" tutte britanniche, sono le offerte sui prodotti con data di scadenza del giorno in corso. Andando a rovistare sugli scaffali dedicati, soprattutto quando si arriva sul tardo pomeriggio, si trova una gran quantità di prodotti il cui prezzo è più che dimezzato. Certo, sono da consumare in giornata o il prima possibile, però questo "tip" permette di risparmiare qualche penny, oltre che, ogni giorno, variare la propria dieta.
E non c'è nulla di cui vergognarsi; è qualcosa di comune, lo fanno praticamente tutti e non si è visti con l'aria "compassionevole" con cui si è soliti atteggiarsi in Italia.
Anzi, bisogna affrettarsi; anche perché, davanti a questi scaffali, c'è sempre la fila e i prodotti si esauriscono in fretta.
Pensateci: è meglio buttare nell'immondizia una quantità enorme di cibo, oppure guadagnare meno facendo un servizio gradito ai propri clienti?

mercoledì 14 novembre 2012

Wee Jambos great future (progetto #SaveOurHearts)



Nell'ambito delle iniziative lanciate dagli Hearts e dai vari comitati spontanei di tifosi sorti per tentare di salvare dal fallimento il glorioso club di Gorgie Rd, ieri pomeriggio si è tenuta, dalle 5pm, un'asta di "cimeli" il cui ricavato (£15mila) è stato direttamente versato nel fondo istituito per recuperare la cifra necessaria per impedire che il club entri in amministrazione.
Alle 7pm, intanto, la gara del campionato Under20 tra gli Hearts ed il Motherwell è stata giocata al "Tynecastle", con ingresso ad offerta libera sempre destinata allo scopo di cui sopra.
Più di mille spettatori hanno preso posto nel "main stand" dello stadio, tutto in legno e ancora con i piloni ad ostruire la visuale del campo, per sostenere i "wee Jambos" e dare un'ulteriore mano alla propria squadra.
I giovani Hearts hanno sofferto, su un terreno viscido e sotto una pioggia leggera ma costante, andando sotto 0-2 e chiudendo il primo tempo sull'1-2; nella ripresa, il Motherwell, squadra molto fisica. è calato vistosamente e i più tecnici "wee Jambos" hanno ribaltato il risultato, vincendo 4-2.
Incasso della serata: £5mila.
Nel frattempo, si è venuto a sapere che il HMRC ha accettato una dilazione sui pagamenti della rata di £450mila in tasse inevase almeno fino a dicembre, anche grazie al fatto che quasi tutti i giocatori hanno accettato di ricevere lo stipendio in ritardo anche questo mese, e che il pagamento verrà effettuato in due rate. E anche che Romanov, il proprietario che ha portato gli Hearts sull'orlo della bancarotta, ha rifiutato una prima offerta di acquisto del Club da parte di "Foundation of Hearts", una fondazione che ha lo scopo di rilevare il Club e far partecipare attivamente tutti i supporters Maroon.
Tuttavia, le trattative sono solo all'inizio. E il lavoro da fare è sempre tantissimo.
Sono convinto, comunque vada a finire, che questa avventura avrà un risvolto positivo: ha fatto avvicinare moltissima gente al Club e stretto in un vincolo di solidarietà i propri tifosi. Alla lunga, i sentimenti ripagano sempre.



Robinson annuncia il XV per gli Springboks



Mercoledì, giornata di conferenza stampa per l'head coach della Scozia, Andy Robinson, che svela il XV che sabato, alle 2.30pm al Murrayfield, affronterà il Sud Africa.
Due cambi rispetto alla formazione che ha ben figurato contro la Nuova Zelanda; Euan Murray torna a disposizione, dopo esser stato costretto a saltare gli All Blacks per motivi religiosi, perchè la gara era in programma di domenica, mentre David Denton, che è entrato dalla panchina nell'ultimo incontro, giocherà con il numero 8 al posto dell'infortunato Rennie, mentre capitan Brown è stato spostato open side flanker col numero 7.
Denton, sentito dopo la conferenza stampa, ha detto che "non è un problema giocare flanker o numero 8, l'importante è giocare bene e meritarsi il posto in squadra. Il Sud Africa è una grande squadra, hanno tanti giocatori di talento e sappiamo che sarà difficile. Sarà un confronto fisico, ma noi siamo pronti perchè siamo abituati a gare fisiche, noi avanti, anche in questo emisfero. Dovremo stare attenti nelle palle alte perchè sappiamo che loro sono molto forti in questo fondamentale. Ogni test match è una gara importante e l'affronteremo con la giusta determinazione".
Murray ha vinto il ballottaggio con Geoff Cross ("che comunque, giocherà sicuramente sabato", ha detto Robinson) perché, sempre secondo l'head coach, "nonostante Geoff abbia disputato un'ottima gara contro gli All Blacks, Euan torna titolare semplicemente perchè nel suo ruolo è il migliore".
Cross, così, siederà sulla panchina, prendendo il posto del suo compagno di squadra, nell'Edinburgh Rugby, Allan Jacobsen, che non è a disposizione della Nazionale per motivi personali che nessuno, nello staff del Cardo, ha ovviamente avuto intenzione di spiegare.
Robinson ha, come nella precedente occasione, spiegato le sue scelte, ma inevitabilmente lo sguardo di tutti era ancora fisso sulla prestazione contro la Nuova Zelanda. Il coach ha voluto sottolineare, tra tutti, il grande lavoro di Craig Laidlaw, apertura di Edinburgh, con queste parole: "Laidlaw ha messo in pratica, sul campo, tutto quello che gli era stato chiesto di fare durante gli allenamenti in settimana. Nel modo di attaccare gli spazi, nelle ripartenze, nel modo di giocare: se avessimo quindici giocatori che si applicano in questo modo, sarebbe fantastico." La chiosa, dopo aver detto che anche domenica contro gli Springboks si aspetta una gara fisica, che verrà vinta nei punti d'incontro, nelle fasi statiche, cercando di dimenticare che l'ultima volta che le due squadre si sono incontrate ha vinto la Scozia, è ancora riservata alla gara appena giocata: "siamo pronti, dobbiamo giocare con l'intensità di domenica senza concedere quei quindici minuti di vuoto nel primo tempo; quando capitano queste cose, contro i migliori, vieni sempre punito, anche nel Sei Nazioni o in Heineken Cup. Sicuramente, però, tutta la libertà che è stata concessa a Dan Carter non si dovrà più ripetere".

AGGIORNAMENTO: 16.11.'12

Alasdair Strokosch non ce la fa. Un infortunio ha bloccato il flanker nella mattinata di venerdì, costringendo Robinson ad apportare delle modifiche alla sua terza linea.
Il posto del blind-side flanker del USAP Perpignan viene preso dal 26enne John Barclay, dei Glasgow Warriors, che conquista così il suo 40esimo cap in Nazionale. Barclay verrà schierato open-side flanker, col numero 7, così capitan Kelly Brown viene spostato blindside mentre Denton resta numero 8 al centro della linea.



martedì 13 novembre 2012

Robert Louis Stevenson Day




Oggi si festeggia il "Robert Louis Stevenson Day".
Stevenson, nato e cresciuto ad Edimburgo, è uno dei più famosi scrittori scozzesi; il 13 novembre è il giorno del suo compleanno e per questa occasione la Capitale si attiva con numerose iniziative per ricordare il talentuoso concittadino.
Nella sua vita, lo scrittore ha viaggiato parecchio e i suoi racconti hanno subito, inevitabilmente, il fascino dei paesi visitati. I suoi romanzi più conosciuti sono "L'isola del tesoro", scritto nel 1883 e passato alla storia come uno dei più bei romanzi di ambiente "piratesco", e "Lo strano caso del Dr. Jekyll e del sig. Hyde"(1886), dramma psicologico largamente noto e rappresentato sia in teatro che in numerosi film.




La "Public Library" di Edimburgo gli ha dedicato una mostra, con pannelli riassuntivi della sua vita nella sala del mezzanino.
In tutta la città sono stati organizzati eventi nel corso della giornata, il programma completo si trova qui sul sito di "Edimburgo Città della Letteratura dell'UNESCO".
Nel contempo, come si può vedere dalle locandine riportate, si fa anche riferimento ai "baffi" di Stevenson, occasione buona per ricordare a tutti lo spirito di "Movember".



lunedì 12 novembre 2012

La grandezza degli All Blacks




Ho sempre sostenuto che gli All Blacks fossero sopravvalutati.
Che fossero diventati, nei tempi recenti, più un fenomeno mediatico che una vera potenza del rugby, nonostante le loro vittorie, i 17 risultati utili consecutivi, il fatto che nell’emisfero sud nessuno, almeno in questo anno dalla coppa del mondo sollevata ad Auckland ad oggi, riuscisse a tenere loro testa, per non parlare dell’emisfero nord, con le nostre “Home Nations” impegnate in un difficile ricambio generazionale.
Che la Haka, pur espressione di una cultura, di per sè un mito, fosse diventata una sorta di spettacolo ad uso e consumo delle tv, dal momento che anche chi non sa nulla di rugby ha sentito parlare, almeno una volta, degli All Blacks e della loro “danza”.
E che le loro vittorie, oltre che dovute a merito loro, fossero da attribuire in parte anche alla “deferenza” con cui gli avversari approcciavano le partite.
Bene, mi sbagliavo.
Oddio, non proprio su tutto, ma mi sbagliavo su un fatto: sottovalutavo la grandezza degli All Blacks.
Che non sta nel vincere le partite e i trofei. Quelli, sono una naturale conseguenza.
La grandezza degli All Blacks la capisci se ti piace il rugby, hai visto qualche partita e, soprattutto, li vedi una volta dal vivo.
Mi è capitata ieri, domenica 11 novembre 2012, questa fortuna.
Al “Murrayfield” di Edimburgo la Scozia ospita la Nuova Zelanda nella prima gara dei Test Match autunnali. Sono presente, tra i 67144 che gremiscono lo stadio. Sold out.
Rieccoci, mi dico. Stadio pieno solo perchè ci sono Loro.
Ecco l’ingresso in campo delle squadre. Ecco la Haka.
Poi, d’improvviso, comincia la partita.
Dopo dieci minuti, forse meno, ho già cambiato idea.
La Scozia gioca, a mio parere, una grande partita. Tiene bene nei punti d’incontro, assesta anche la mischia ordinata, non commette particolari sciocchezze e si mantiene concentrata anche dal punto di vista disciplinare.
Gli All Blacks, semplicemente, giocano a rugby. Sono nati per giocare a rugby. 
Gli All Blacks giocano con una facilità tale che sembrano, davvero, espressione degli dei del rugby sulla terra. Vengono da un altro emisfero, ma davvero sembrano venire da un altro pianeta. Sbagliano, regalano anche una meta, ma quando sono in possesso dell’ovale, sono espressione della poesia del rugby. Offloads, giocate al largo, attacco furibondo nei punti d’incontro per poi sviluppare l’azione sulle ali, con passaggi a saltare l’uomo, a cercare qualcosa che sembra difficile ma solo a me, solo a noi. Con quell’ovale che non cade mai, mai, nemmeno quando i passaggi non sono perfetti. 
Quello che io penso sarebbe giusto fare, loro semplicemente lo fanno.
Con una naturalezza disarmante.
Ecco la grandezza degli All Blacks. 
E se, per far sì che tutto questo continui, bisogna accettare che la loro maglia nera venga “sporcata” da un minuscolo sponsor, oppure che anche i più “dummies” del rugby indossino le loro maglie, ebbene, da ieri sono disposto ad accettarlo.
Purchè abbia ancora una volta, nella mia vita, la fortuna di vederli giocare.




Scotland-New Zealand


Alla fine han vinto ancora loro, gli uomini in nero. Gli All Blacks. 
29 incontri tra le due squadre, 27 vittorie e due pareggi per i neozelandesi.
Ma non si può dire, nonostante il risultato, che la Scozia abbia perso.
Anzitutto, perchè ha affrontato i campioni del mondo in carica, imbattuti da 17 gare, dovendo fare a meno di sette titolari e recuperando Gray e Laidlaw solo nella settimana precedente il match. 
Poi, perchè la Scozia ha tenuto testa alla Nuova Zelanda, accusando un unico, inatteso black-out alla mezz’ora del primo tempo che ha condizionato la gara. Perchè fino a quel momento, la gara era in equilibrio, la Scozia aveva marcato una meta con Tim Visser, l’ala olandese naturalizzata in giugno e che ha debuttato oggi sul suolo patrio, nello stadio della sua squadra di club, con la maglia del cardo. Uno stadio, il Murrayfield, sold out in autunno per la prima volta nella storia dei test match. 67144 spettatori. Spettacolo nello spettacolo.
Prima della gara, celebrato il “Remebrance Day” con il tributo ai caduti di tutte le guerre. Minuto di silenzio vero. Sessantasettemila persone in piedi e in silenzio, dopo che il cannone ha sparato a salve l’inizio del ricordo.





Gli inni, con il “Flower of Scotland” suonato a metà. Poi, lo stadio a cappella a fare la seconda parte.
La “Haka”. La Scozia che non ha paura, che quando si avvicina agli All Blacks fa impazzire il pubblico, che ruggisce, esaltato dai suoi 23 eroi che varcano la metà campo per dimostrare al nemico di non aver paura.


Poco prima, medagliati olimpici e parolimpici di Londra 2012 hanno sfilato in campo, raccogliendo il giusto tributo. E Sir Chris Hoy, due medaglie d’oro su una bicicletta, ha l’onore di consegnare all’arbitro il pallone dell’incontro.
Visser, dicevamo, e la Scozia che va addirittura avanti, 7-3. Sfruttando un errore a metà campo di Dan Carter (a fine gara comunque votato Man of the match per i suoi 21 punti e la perfezione dalla piazzola) che serve Scott. Il centro non riesce a volare via, ma ha la forza di servire “Timbo” che porta il sostegno sulla fascia sinistra. Timmy-boy mette il turbo e va a marcare.
Poi, il buio. E, si sa, al buio i “tutti neri” diventano invisibili. 
E se prima li fermavi a fatica, adesso non li tieni più.
Allora prima Savea, poi Cory Jane, le due ali, si infilano nella difesa scozzese e tracciano il solco nel punteggio che si manterrà, quasi inalterato, per tutta la gara. Poco prima, l’estremo Dagg aveva trovato il varco giusto, in un’azione nata da un line-out battuto veloce ( e forse storto) dal tallonatore Hore.
A questo punto, la Scozia è “in barca”. Gli All Blacks mettono in mostra tutta la loro classe, nei breakdown ma soprattutto nel gioco alla mano, negli offloads che sono il marchio di fabbrica di questa squadra che sembra imbattibile, che in certi momenti sembra una marea, una marea nera che ti avvolge e travolge.




Capitan McCaw, uno che ha un nome che potrebbe avere parenti da queste parti, due ginocchia fasciate, i baffi coltivati dai primi undici giorni di “MOvember”, per me una delle leggende viventi della nostra era, di questo sport. Classe 1982. Open side flanker, numero 7 sulla maglia e tanta fatica sulle spalle. Dan Carter, apertura mancina nei piedi e nella testa, talento purissimo. Entrambi giocano nei Crusaders, la squadra di Christchurch, provincia di Canterbury, città martoriata due anni orsono da uno dei peggiori terremoti della storia neozelandese. Poi Weepu, mediano di mischia col fisico “pacifico” ma con un cervello sopraffino, Cory Jane... 
La Scozia si riprende da questa sbronza nera, non si sa come; come è andata in difficoltà, riprende il controllo della gara, ha una reazione d’orgoglio ma anche di testa, che porta il XV del “Saltire” (oggi la Scozia ha giocato con la seconda maglia, bianca con la croce di Sant’Andrea sia sulle maniche, sia su fronte e retro; a guardarla bene, nel suo insieme bella) a marcare una meta strepitosa, per costanza ed abnegazione, con Richie Gray (strepitosa la prova di Richie, ma di tutto il pacchetto di mischia scozzese) che, a 30” dalla sirena, gioca alla mano sui 5metri una punizione concessa per irregolarità in ruck dei neozelandesi.
La Scozia spinge, la Nuova Zelanda difende con qualche affanno, perchè ai “signori in nero” non piace essere messi sotto pressione. La Scozia va oltre la linea, con il centro Scott, ma l’arbitro non convalida la meta. Chiede aiuto al TMO; il Murrayfield trattiene il fiato, ma il giudice televisivo suggerisce al francese che la palla è stata tenuta alta.
Sconforto? No, perchè l’arbitro torna sul vantaggio. E allora si va ancora alla mano, e stavolta Geoff Cross, pilone di Edinburgh, varca la linea e marca la meta.
17-34, si chiude il primo tempo.
Nella ripresa, la Scozia marca ancora con Visser, stavolta sulla fascia destra d’attacco, con i neozelandesi in quattordici, quando Thomson va fuori dieci minuti per uso scorretto delle mani in ruck (diciamo così, per non dire che quasi calpesta un avversario). Ma gli All Blacks hanno già preso il largo, e quando Savea marca la sua seconda meta giornaliera la gara è ormai “dead and buried”. Finisce 22-51, perchè anche Ben Smith, secondo centro, va a segno. Ma, sinceramente, la Scozia può essere soddisfatta. Tolti quei maledetti dieci minuti, che hanno segnato la partita irrevocabilmente, oggi ha marcato 22 punti contro i campioni del mondo in carica, 3 mete, giocato a testa alta. L’ultima volta che gli All Blacks hanno giocato qui, nel 2010, era finita 3-49.
Volendo, si può guardare senza problemi il bicchiere mezzo pieno, stasera.
E berselo tutto, alla salute di questa squadra e di tutti i 67144 spettatori che hanno reso questa giornata indimenticabile.